Racconta storia di due importanti artisti italiani (XIX e XX secolo)
Roma, 14 ott. (askanews) – Attraverso 140 opere, tra dipinti, sculture e disegni provenienti da importanti raccolte pubbliche e private, il Museo dell’Ottocento presenta l’esposizione ‘Antonio Mancini e Vincenzo Gemito’, che racconta la storia di due dei più importanti artisti italiani vissuti tra il XIX e il XX secolo: il pittore Antonio Mancini (Roma 1852-1930) e lo scultore Vincenzo Gemito (Napoli 1852-1929). Di fatto, due vere e proprie retrospettive che si incrociano, mettendo in evidenza tangenze e distanze tra le ricerche dei due artisti, tra i più apprezzati del loro tempo anche al di là dei confini nazionali. La mostra, a cura di Manuel Carrera, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi e Isabella Valente, intende inoltre indagare il rapporto dei due artisti con i colleghi e mecenati.
I capolavori sono stati concessi da collezioni private e istituzioni museali quali la Direzione regionale Musei Campania – Certosa e Museo di San Martino di Napoli, la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro – Raccolta Lercaro di Bologna, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, la Galleria d’Arte Moderna di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Roma, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo delle Raccolte Frugone di Genova. Fondamentale il contributo di Intesa Sanpaolo, con sedici opere provenienti dalle sedi delle Gallerie d’Italia di Napoli e Milano.
Il Museo dell’Ottocento, inoltre, espone per intero il suo nucleo di diciassette opere di Mancini, capaci di restituire la vicenda di un artista che conquistò una fama internazionale. Nati nel 1852, Mancini e Gemito, entrambi di umili origini, si incontrarono tredicenni alla scuola serale di San Domenico Maggiore a Napoli. Sotto la guida degli scultori Stanislao Lista ed Emanuele Caggiano, poi del pittore Domenico Morelli, negli anni della formazione condivisero l’attitudine a una rappresentazione realistica della figura umana, accomunati dall’abilità nell’introspezione psicologica, ciascuno secondo le peculiarità del proprio linguaggio. Tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, Napoli era teatro di sperimentazioni pittoriche sul rapporto tra luce e colore e al centro di un dibattito che rivoluzionava la secolare supremazia del disegno propugnata dall’Accademia; la città era aperta al dialogo con artisti di tutta Europa e attenta alle novità che giungevano dalla Francia, dalla Spagna e dall’Inghilterra. A partire dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, dopo i soggiorni parigini e un lungo periodo di instabilità psichica che afflisse i due artisti, le strade di Mancini e Gemito si separarono prendendo direzioni diametralmente opposte. Mancini stabilitosi a Roma sperimenterà una pittura caratterizzata da una pennellata veloce, frammentata, con brillanti tocchi luministici, stile che attirerà da un lato l’attenzione del collezionismo straniero, dall’altro le critiche di coloro i quali ritenevano la sua figurazione eccentrica. Gemito negli anni della maturità si avvicinerà al rigore e all’eleganza dell’arte ellenistica e alla tradizione orafa. L’esposizione offre la visione delle fasi salienti del percorso di entrambi, con affondi tematici sulle rispettive poetiche.
Negli anni dell’apprendistato entrambi si esercitavano nella tecnica del disegno e nella rappresentazione del ‘vero’ con una nuova sensibilità, che si tradusse nella capacità di catturare le emozioni e gli stati d’animo. Dai maestri venivano indirizzati allo studio dei capolavori provenienti dagli scavi di Pompei ed Ercolano custoditi nel Museo Nazionale di Napoli. Per la formazione di Mancini fu fondamentale la scoperta di Caravaggio e della pittura naturalistica del Seicento che si potevano ammirare nelle chiese partenopee. Il Malatiello (terracotta, 1870 ca., Certosa e Museo di San Martino, Napoli) rappresenta il primo approdo di Gemito al realismo, quale esito formale degli insegnamenti del maestro Stanislao Lista. Lo Scugnizzo (terracotta, 1872, Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia – Napoli) è uno straordinario studio dal vero dal modellato morbido che riesce a trasmettere l’ingenuo stupore di un bambino colto di sorpresa. Gli fanno eco due tele di Antonio Mancini messe a confronto per la prima volta: Il Prevetariello, piccolo prete, (1870 ca., Certosa e Museo di San Martino, Napoli) e il Prevetariello in preghiera (1873 ca., Museo dell’Ottocento, Pescara) opera eseguita dopo un viaggio a Venezia. Come si può notare dal raffronto, la scoperta della pittura veneta funge da spartiacque nel percorso formativo del pittore che, dai contrasti drammatici di reminiscenza caravaggesca, passerà ad un colorismo acceso, caldo e sensuale. Mutamento stilistico di cui si cominciano a cogliere i riflessi anche nella grande tela Dopo il duello (1872, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino), nella quale il pittore rivela un’eccellente attenzione per il dettaglio e per la resa degli stati d’animo.
Mancini nel maggio 1875 partì per Parigi dove rimase alcuni mesi durante i quali conobbe alcuni mercanti d’arte, come Adolphe Goupil e Alphonse Portier. Grazie alla frequentazione di Giuseppe De Nittis, che viveva nella città, egli incontrò Giovanni Boldini, gli impressionisti Edgar Degas e Édouard Manet, dal cui stile non fu particolarmente attratto. Tornerà nella Ville Lumière insieme a Gemito nel 1877. L’opera Saltimbanchi suonatori (1877, coll. priv., Courtesy METS Percorsi d’Arte), caratterizzata da colori vivaci e ricchezza di dettagli, nasce con l’intento di assecondare il mercato francese che ben presto si rivelerà troppo stretto per il talentuoso pittore. Da questa consapevolezza e dalla crisi esistenziale che ne derivò, si fece strada la genesi di Verità (1873-1878, Museo dell’Ottocento, Pescara), il suo dipinto più libero, un flusso di coscienza visivo che sembra anticipare, senza volerlo, gli aspetti della pittura surrealista. Gemito a Parigi frequentò l’atelier di Ernest Meissonier, pittore di grande fama, raffigurato in due sculture in bronzo (post 1879, Chines Collection, Roma e Galleria d’Arte Moderna, Milano); tra i due nacque un’amicizia profonda e duratura che andò avanti fino alla morte del francese. Nel percorso espositivo si ammira, inoltre, il Pescatore (Galleria d’Arte Moderna, Milano), replica del 1924-1925 della fusione in bronzo del 1875-1877 conservata presso il Museo Nazionale del Bargello di Firenze.
L’opera manifesto dello scultore, esposta al Salon del 1877 e all’Exposition Universelle del 1878, catalizzò l’attenzione critica sia per la posa irrituale e spontanea del ragazzo sia per il richiamo di citazioni classiche, come lo Spinario dei Musei Capitolini. A Parigi però le differenze caratteriali tra i due – Mancini mite e remissivo, Gemito volitivo e autoritario – non tardarono a manifestarsi. I contrasti sfociarono nel 1878 nella rottura della loro amicizia, funestata dalle difficoltà economiche e dalla malattia.
Mancini, affetto da crisi nervose dal 1881 al 1882 fu internato al manicomio provinciale di Napoli. Nel 1883 si trasferì a Roma dove conquistò fama internazionale, inserendosi nel giro dei collezionisti e dei pittori stranieri. Si può rintracciare l’eco di tale notorietà nel Ritratto di Antonio Mancini, (1901 ca., Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma) eseguito dallo statunitense John Singer Sargent che lo definì “Il più grande pittore vivente”. Sono di questo periodo: Mi dipingerà così o Il buon modellino o Pastorello in Ciocie (1884 ca., Museo delle Raccolte Frugone, Genova) e Ciociara o Ragazza che espone un quadro (1885 ca., coll. priv.) dove Mancini inserisce un quadro nel quadro; la pennellata si fa più ampia, rapida e si arricchisce di colori accesi nel ricordo di Rembrandt. Vincenzo Gemito, tornato a Napoli, afflitto da un esaurimento psichico, si segregò nella sua abitazione per circa un ventennio nel corso del quale pose in essere una riflessione sull’arte ellenistica, come testimoniano alcuni bronzetti e la Maschera dell’imperatore Alessandro, (cera, 1920 ca., Galleria d’Arte Moderna, Milano).
In mostra si ammirano anche i disegni di Gemito, come Fanciulla napoletana o La Zingara, (1885, Collezione Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia – Napoli) ed esempi significativi della serie di Autoritratti. Egli, soprattutto nella fase della maturità, concepì questa tecnica come un’espressione indipendente che procede in parallelo a quella plastica.
La mostra ha il patrocinio del Consiglio Regionale dell’Abruzzo, del Comune di Pescara, del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Si ringrazia Intesa Sanpaolo / Gallerie d’Italia per la collaborazione. La mostra ha ricevuto altresì la preziosa collaborazione dell’Associazione METS Percorsi d’Arte per il reperimento di numerose opere. Il catalogo pubblicato in occasione della mostra, edito da Silvana Editoriale, approfondisce gli aspetti nodali delle ricerche di Mancini e Gemito attraverso contributi inediti dei curatori e di altri studiosi, con il supporto di un ricco apparato documentario e centinaia di illustrazioni, ponendosi così come contributo fondamentale per le future ricerche sui due artisti.