“A Gaza la sopravvivenza umana è al limite”: Emergency a un anno dal 7 ottobre

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ROMA – “Stremante, proibitiva, al limite della sopravvivenza umana”: usa questi termini Stefano Sozza, capomissione di Emergency a Gaza, per descrivere la situazione che la popolazione della Striscia sta vivendo dopo quasi dodici mesi dal lancio dell’offensiva dell’esercito israeliano su larga scala contro il gruppo armato Hamas, che ha provocato quasi 42mila morti e 100mila feriti, di cui la maggior parte donne e bambini, e reso sfollata praticamente l’intera popolazione di 2 milioni e 300mila persone.

Un’operazione lanciata in risposta all’assalto dei commando di Hamas, che aveva causato circa 1200 morti e la presa di 240 ostaggi israeliani, di cui ancora cento circa in mano ai combattenti.

“L’ONG DA MESI IN ATTESA DEL PERMESSO DI ISRAELE PER COSTRUIRE UNA CLINICA”

Emergency è entrata a Gaza il 15 agosto “dopo mesi e mesi di attesa per ricevere l’autorizzazione dalle autorità israeliane”, dice Sozza, e ora l’ong continua ad attendere per “costruire una clinica con servizi di base” prendendo tutte le misure affinché “non sia coinvolta in operazioni militari che mettano a rischio staff e pazienti”. Così, “facciamo pressioni tramite le Nazioni Unite affinché arrivi il via libero definitivo di Israele, per essere operativi prima dell’inverno, tempo di malattie stagionali”.
Un modo, continua Sozza, per dare sollievo a una “popolazione che sta sopravvivendo a condizioni disumane”, con bisogni “a 360 gradi”.

“LA POPOLAZIONE È AMMASSATA IN UNA ‘SAFE ZONE’ PER NIENTE SICURA”

Dopo un anno di bombardamenti e scontri continui, “la maggior parte dei civili si è ammassata nella cosiddetta ‘zona umanitaria‘ concentrata nei governatorati occidentali di Dair El-Balah e Khan Younis”.
A delimitarla, spiega il capomissione, “è l’esercito israeliano”. La procedura prevede l’invio di ordini di evacuazione, ossia “ultimatum a lasciare le proprie case entro circa 12 ore” per dirigersi verso la “safe zone“, che “non dovrebbe essere coinvolta in attività belliche”, ma spesso, come informa la cronaca, sono bersaglio di attacchi. “Oltre l’80% della superficie della Striscia è stata interessata da ordini di evacuazione”, informa Sozza, in particolare “a nord, est e sud”.
Il capomissione di Emergency quindi descrive la “safe zone” come “un’area sovrappopolata: una tendopoli a perdita d’occhio, composta da strutture fatiscenti e di fortuna dove famiglie anche molto numerose cercano una sicurezza che non è affatto garantita”. Mancano anche “privacy”, e poi “acqua potabile, cibo, servizi in generale”. I prodotti di prima necessità “o sono introvabili o, se disponibili al mercato, hanno costi proibitivi per famiglie che si sono spostate anche cinque o sei volte, perdendo la casa, il lavoro, tutto”. La sfida: “Arrivare a fine mese, mettendo i pasti a tavola”.

“NON CI SONO SCUOLE E INSEGNANTI, OSPEDALI AL COLLASSO, RISCHIO EPIDEMIE”

La guerra, oltre a generare il bisogno di casa e cibo, ha distrutto anche il sistema scolastico. “Si stanno ricostituendo attività ludico-ricreative- riferisce Sozza- ma mancano gli insegnanti (sfollati o uccisi) e le scuole, usate come rifugi per i civili. L’ultimo anno scolastico è ormai andato perso”.
Non va meglio al sistema sanitario, con “ospedali vicini al collasso” dei 12 ancora operativi su 36, come riferisce l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Con la rete fognaria distrutta e senza acqua corrente, secondo il referente di Emergency, “permane il rischio epidemie” e si fatica “ad assistere sia i feriti che i malati cronici. I malati di cancro, in assenza dei trattamenti necessari, sanno che moriranno” avverte Sozza. Ma nei bombardamenti “si riportano danni enormi anche a strade, impianti elettrici e di desalinizzazione dell’acqua”.
Non ultimo, sottolinea Sozza, “c’è assoluto bisogno di supporto psico-sociale: la popolazione subisce da un anno stress, paura e dolore per la perdita di familiari, amici, luoghi. Ferite che ci mettono molto di più a rimarginarsi rispetto a quelle fisiche. Bisogna dare al più presto gli strumenti per ritrovare speranza nel futuro”.

“IMPOSSIBILE LASCIARE LA STRISCIA, URGE STOP AL FUOCO E ACCESSO AGLI AIUTI”

Nonostante la gravità della crisi umanitaria, però, secondo il capomissione, “lasciare la Striscia è impossibile: tutti i valichi sono chiusi. Già prima del 7 ottobre era difficile ottenere le autorizzazioni da Israele, per questo si parlava di Gaza come di una ‘enclave’ e ‘prigione a cielo aperto‘”. Qualche possibilità in più l’hanno “malati e feriti gravi”, che possono essere trasferiti verso Gerusalemme o Il Cairo ma “le autorizzazioni sono poche rispetto alle richieste”.
Il capomissione conclude: “Emergency continua a chiedere insieme alle altre organizzazioni umanitarie l’accesso agli aiuti e il cessate il fuoco. La ricostruzione richiederà uno sforzo enorme e va iniziata il prima possibile. Se non si ferma il conflitto, il quadro appena descritto può solo peggiorare”.

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